Qualche settimana fa il Mefu – Mestieri del Fumetto ha pubblicato uno studio statistico sui fumettisti italiani. È partito da due questionari. Il primo è stato compilato da 339 professionisti, il secondo ha permesso l’analisi dei contratti di 255 opere. A quanto pare, in Italia sono attivi circa 2.000 autori. E per essere un autore attivo, secondo il Mefu, bisogna aver pubblicato almeno un’opera negli ultimi 7 anni. Stando al campione preso in esame, quasi il 75% degli autori italiani è composto da uomini; circa il 50% disegna, il 22% invece scrive e il 22% fa tutto. Alla domanda «Che lavoro fai? Dichiari di essere fumettista?», il 74,2% risponde di sì. Tra chi ci ha tenuto a specificare, si rincorrono risposte come «Anche, ma al momento ho ripiegato su un lavoro ordinario» e «Sì, ma faccio anche un altro lavoro». Più dell’80% degli autori si promuove attraverso Instagram. Quasi la maggioranza degli autori scrive e/o disegna graphic novel, storie autoconclusive. Solo il 39% lavora per periodici. Quasi il 50% degli autori pubblica all’estero, e più o meno il 23,4% di questi autori ha pubblicato prima in Italia. I Paesi dove sono più attivi (circa il 55%) sono la Francia e il Belgio. Il 61,5% degli autori guadagna meno di 5.000 euro. Solo il 4,9% guadagna più di 20.000 euro. Situazione che si ripresenta in tutte le categorie: disegnatori, sceneggiatori, coloristi, eccetera. Il 14,8% degli autori guadagna tra i 5 e i 10.000 euro. Il 34,4% degli autori ha rifiutato proposte di lavoro perché, citiamo, «Ritenevano i contratti o i compensi inadeguati». E quindi? E quindi la situazione non è positiva. E la cosa è abbastanza paradossale.
Il mercato del fumetto in Italia, tra l’edicola (in profonda crisi) e la libreria, è in crescita. Ed è diventato, senza esagerare, uno dei settori di riferimento dell’editoria, specialmente quando si parla di graphic novel. La realtà, però, è un’altra. E lo dicono abbastanza chiaramente i dati raccolti dal Mefu: la maggioranza degli autori guadagna pochissimo; non tutti si sentono tutelati, non tutti credono di potercela fare senza un altro lavoro; a offrire le condizioni migliori sono aziende estere, non italiane; e molto spesso i contratti vengono rifiutati perché non vantaggiosi. Forse, il problema è la natura ancora in forte mutamento del mercato italiano: non ci sono punti di partenza uguali per tutti; non c’è un accesso diffuso e facilitato ai contratti; c’è una fortissima competitività non regolata in alcun modo; molti editori approfittano ancora della precarietà del mestiere del fumettista, e molti fumettisti sono isolati e mancano di un’effettiva consapevolezza di mezzi, risorse e necessità economiche.
Probabilmente ci vorrà ancora del tempo. Soprattutto, bisognerà fare più attenzione (lo studio del Mefu è un primo, importantissimo passo in avanti). E magari un giorno anche l’Italia sarà un Paese per fumettisti
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