Se il film di Paolo Sorrentino su Berlusconi si chiama Loro e non Lui, c’è un motivo: il protagonista, nell’incarnazione di Servillo, entra infatti in scena dopo un’ora e dieci di film, e solo un paio di minuti prima Sergio Morra, il personaggio interpretato da Riccardo Scamarcio che rimanda al faccendiere Gianpaolo Tarantini, ne pronuncia infine il nome: “Dove cazzo sei, Silvio?”.
Fin lì quella che va in scena è l’Italia che Berlusconi ha (già) prodotto, con i suoi figuranti e i suoi luoghi comuni: ex ministri, aspiranti veline, organizzatori d’eventi e imprenditori del nulla, cioè tutto l’indotto umano di un progetto sociale già compiuto in cui i ruoli sono in realtà solo due, compratore e venditore. D’altra parte questo Presidente – come lo chiamano tutti – ha superato i settant’anni, e vive una specie di dolente tramonto, trovandosi contemporaneamente all’opposizione, fuori dalle sue aziende e perfino dal calcio che conta: “Io sono un uomo del fare e non riesco nemmeno a comprare Michel Martinez, vuole andare alla Juventus”, confessa a Veronica Lario (Elena Sofia Ricci) in mezzo al mare, quando la moto d’acqua si blocca lasciandoli soli, al largo.
È in sostanza impotente. Ma non letteralmente.
Ed è in questo avverbio negato, in un rapporto coniugale ormai esaurito, che si intravedono le luci della ribalta e della seconda parte del film, dove è prevedibile il Bunga Bunga la faccia da padrone: un’orgia, come esibizione ultima del potere. Un’orgia del fare.
Se in tutto questo esiste un problema puramente spettacolare, è che la prima ora sembra altro materiale inedito di La grande bellezza. Sorrentino ha già raccontato lo stesso mondo, la stessa decadenza, la stessa città, con la stessa miscela di lirico e grottesco, ogni affermazione qui è un’eco. D’altra parte questa lunga lacuna iniziale ha una funzione che non poteva essere aggirata: definisce le dimensioni del palco su cui Berlusconi comparirà, cioè ne determina la presenza attraverso l’attesa. Il suo mondo, il mondo che lo precede e che ha creato, è ovunque.
Quando infine Servillo entra in scena (travestito, quindi in una sorta di camuffamento al quadrato) prendendo il controllo della sua villa in Sardegna e del film, Loro non solo cambia marcia, ma cambia registro, cioè terreno creativo. La farsa sociale assume una rassicurante – e assai divertente – andatura da commedia familiare, come una specie di Casa Vianello extralarge. E così facendo (di)mostra la natura del personaggio e della sua storia d’amore con l’Italia come meglio non avrebbe potuto: dentro al covo di matti che ha tirato su e si porta appresso, Berlusconi è un sospiro di sollievo.
Solo così poteva salvarsi (e si salva eccome) l’interpretazione caricaturale di Servillo – grande interprete, con tempi perfetti ma un corpo inadatto al personaggio -, perché l’imitazione regge fin dove il talento può e il fisico consente. Un Berlusconi così alto è necessariamente “sbagliato”, perché l’altezza non è un dettaglio del personaggio, ma una misura che amplifica per contrapposizione la percezione popolare dei suoi risultati. Detto in altri termini: se Commedia dell’Arte deve essere, le regole della maschera vanno seguite fino in fondo.
Per ultima, la questione della divisione in due parti. Il film è monco, interrotto. Quali siano state le ragioni della scelta di dividerlo in due parti – economiche (cioè legate agli incassi, che una durata eccessiva poteva scoraggiare e due film invece potrebbero raddoppiare), artistiche o pratiche (qualcuno sostiene la seconda parte sia stata completata solo in questi giorni) -, i titoli di coda iniziano senza una vera necessità, e il lungo prologo rende il film sghembo.
Però resta la voglia di vedere ancora, di saperne di più.
Resta la curiosità, la voglia di sbirciare, di ridere, di sentirsi rassicurati dalla propria distanza. Ed è proprio quella strana forma di complicità, quella manipolazione indiretta, su cui “Lui” campa da 40 anni.
Loro 1 è in sala da oggi. Loro 2 uscirà in sala il 10 maggio.
Foto: © Gianni Fiorito
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