Generazione Low Cost: la recensione del film con Adèle Exarchopoulos

L'attrice de "La vita di Adele" interpreta un'assistente di volo per una compagnia aerea nel film ora al cinema distribuito da I Wonder Pictures

Generazione Low Cost
PANORAMICA
Regia (3)
Interpretazioni (3.5)
Sceneggiatura (2.5)
Fotografia (3)
Montaggio (3)
Colonna sonora (3)

Assistente di volo per una compagnia aerea low cost di base a Lanzarote, Cassandre (Adèle Exarchopoulos), 26 anni, vive alla giornata, viaggia e si diverte, fedele al suo soprannome di Tinder “Carpe Diem”. Un’esistenza senza legami, responsabilità e radici, curandosi poco del futuro, all’insegna del presente e della ricerca della libertà, tra vendita di profumi a bordo, feste e sesso occasionale durante gli scali, nell’ambizione un giorno di lavorare per una compagnia di alto livello. La sua routine viene però interrotta da un imprevisto che mette in crisi la sua visione della vita, la costringe a tornare a casa e fare i conti con nodi irrisolti e mai realmente affrontati.

Diretto dalla coppia di registi Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre e presentato all’ultima edizione del Torino Film Fest e allo scorso Festival di Cannes, dove era in concorso alla Semaine de la Critique, Generazione Low Cost, al cinema dal 12 maggio distribuito da I Wonder Pictures, mette in scena un ritratto femminile inquieto e catatonico, in cui gli scioperi apparentemente non riguardano la protagonista, che pare essersi assuefatta all’idea di tenere a bada l’alienazione di un lavoro emotivamente e fisicamente provante

Realizzato con stile estremamente rarefatto e un’evidente tensione naturalista nella recitazione, il film riesce a far brillare in un ruolo di spessore – tutto in sottrazione – Adèle Exarchopoulos, la star de La vita di Adele, che dopo il film di Kechiche ha faticato non poco a ritagliarsi e a incidere con personaggi significativi. L’orizzontalità del quotidiano della sua Cassandre, tra social, atteggiamenti abulici e apatie senza nome e senza ritorno, ha un peso non indifferente in termini di ritratto generazionale, e l’oscillazione tra l’impianto di fiction e il “documentarismo” di ritorno genera, nella messa in scena, un regime di sospesa incertezza funzionale al racconto, nel quale trovano posto tanto le istanze da radiografia sociale, che evitano la tentazione del sociologismo, quanto i barlumi di empatia sepolti sotto un approccio levigato, patinato e solo in apparenza anodino e anaffettivo. 

Il finale in soggettiva a Dubai, con in sottofondo Lady Gaga che intona I’ll Never Love Again dalla colonna sonora di A Star is Born, è un piccolo gioiello metaforico all’insegna dello stupore e della ricerca del proprio posto nel mondo, gravato dagli spettri di un incasellamento forzato e un’estraniazione geografica coatta. 

Foto: I Wonder Pictures

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