Finale a sorpresa: un’irresistibile e beffarda satira cinematografica. La recensione

Nelle sale, dopo il passaggio in Concorso all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, è arrivata la scatenata ed esilarante black comedy dei registi argentini Mariano Cohn e Gastón Duprat con Penélope Cruz, Antonio Banderas e Oscar Martínez

Finale a sorpresa
PANORAMICA
Regia (4)
Sceneggiatura (4.5)
Interpretazioni (4)
Fotografia (3.5)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (3)

Lola Cuevas (Penélope Cruz), è un’eccentrica e affermata regista a cui è stata commissionata la regia di un film da un imprenditore miliardario megalomane (José Luis Gómez) deciso a lasciare il segno nella storia. L’ambiziosa impresa richiede i più grandi talenti, così Lola scrittura due stelle della recitazione: il divo sciupafemmine di Hollywood, Félix Riviero (Antonio Banderas) e il capofila del cinema e del teatro impegnato, Iván Torres (Oscar Martínez). Due attori agli antipodi ma entrambi leggende, con un carisma e un ego ineguagliabili, sono costretti da Lola ad affrontare delle prove esilaranti e originali che li metteranno a dura prova. Riusciranno a superare la loro rivalità per dare vita a un capolavoro?

Finale a sorpresa, presentato in Concorso all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia (il titolo originale, Official Competition, allude al Concorso di un grande festival internazionale, in particolare la Selezione Ufficiale del Festival di Cannes) torna a rinverdire la tradizione dei film sui retroscena della lavorazione di un film ma  è anche molto di più: una satira sul cinema spassionatamente esilarante, con elementi corrosivi e dinamitardi che si susseguono grazie a tempi comici a orologeria, perfettamente oliati e organici tanto nella messa a punto degli sketch quanto nell’elaborazione delle caratterizzazioni (mai deliberatamente macchiettistiche, nonostante si lavori su uno scatenato registro deformante). 

Finale a sorpresa contrappone due attori estremamente stereotipati, il venerato maestro pieno di sussiego e la star frivola e narcisistica: da un lato l’interprete pieno fino all’orlo di corazzato e inattaccabile mestiere, alieno alle sirene del mainstream e con una rinomata attività teatrale, e dall’altro la stella di richiamo, popolare anche presso il grande pubblico, dall’ego bizzoso e vanesio, in un tripudio di situazioni ora paradossali ora tragicomiche quando addirittura non direttamente ridicole. In mezzo a loro una cineasta che legge a tavolino la sceneggiatura del suo prossimo film e ha fatto il pieno di Leoni e di Palme, dalla chioma vaporosissima e dall’estro altrettanto ruvido e senza compromessi, ma con quella punta di autorialismo pretenzioso e un copione tra le mani che lei stessa ha ricoperto furiosamente di appunti e mozziconi di sigarette che dovrebbero significare qualcosa anche sul piano artistico. 

Questo triangolo è servito sotto forma di commedia nera dai registi e sceneggiatori argentini Mariano Cohn e Gastón Duprat (quelli de Il mio capolavoro e del maiuscolo Il cittadino illustre), con mano sicura e uno spirito cinico e beffardo che non rinuncia allo sberleffo più solare, contagioso e liberatorio. Ne viene fuori un’escalation pirotecnica di umorismo anarchico, del/sul/intorno al cinema, dove ogni sequenza è spinta al parossismo con agilità smaliziata e tante scene sono orchestrate minuziosamente e chirurgicamente per sovvertire le premesse con le quali le situazioni erano state inizialmente messe in campo e proposte allo spettatore. Il tutto anche grazie all’uso sopraffino delle scenografie, dei massi che sono spade di Damocle di cartapesta eppure concretissime (come fossimo dentro alla più cinematografica possibile delle quinte teatrali), delle gru cigolanti che più che minacce sono architravi di senso sulla condizione umana.

Quest’idea filosofica eppure popolarissima e accessibile di comicità, che riavvolge sempre il nastro a suon di fulmen in clausola folgoranti per davvero, produce un senso di sorpresa continuo in chi guarda: un’etica umoristica della contraddizione che non presta mai il fianco a risposte semplici e alimenta il gusto di una complessità immediatamente leggibile ma sempre pronta a far saltare il banco delle certezze più comode.

Tra punch-line memorabili nel mettere alla berlina la goffaggine di certe ingombranti pose falliche (Scusami se avrò un’erezione, e scusami se non avrò un’erezione è una delle battute in assoluto più riuscite) e una messa in scena che s’interroga con sfacciata e plastica eleganza sui confini labili tra verità e menzogna, realismo e fiction, attore e personaggio – ma senza l’ombra, neanche lontana, di alcun intellettualismo – Finale a sorpresa è un tassello di metacinema imperdibile, nel quale la perfidia più sfrenata è chiamata a riscrivere i confini tra il velleitario e il demenziale. Secondo un’oscillazione dalla quale la genesi dell’arte non può mai chiamarsi fuori e che può risultare – nel suo coacervo di meschinità e ridicolo, empatia e crudeltà estremamente familiare e appassionante a più livelli.  

Foto: The Mediapro Studio, RTVE, TV3, Orange España

© RIPRODUZIONE RISERVATA