Il protagonista di A Hidden Life, il nuovo film del regista americano Terrence Malick, è l’austriaco Franz Jägerstätter (August Diehl), contadino e obiettore di coscienza, che venne arrestato e in seguito ucciso per essersi rifiutato di arruolarsi nell’esercito nazista (fu anche beatificato nel 2007 da Papa Benedetto XVI). Un soggetto e un tema estremamente nobili, per un cineasta che negli ultimi anni si è trasformato da eremitico maestro da “un film ogni vent’anni” a indagatore estremamente prolifico del digitale e delle sue potenzialità poetiche.
Dopo le parentesi manieriste e involute sui malesseri e lo star system della contemporaneità di Knight of Cups e Song to Song, intervallati dal documentario Voyage of Time, evidente costola del capolavoro del regista, The Tree of Life, il cinema di Malick decide stavolta di andare indietro nel tempo, di setacciare la Storia e i suoi legami tragici e profondi con delle vite apparentemente microscopiche e irrilevanti. Lo fa sulle montagne dell’Austria per illustrarne i paesaggi e gli ambienti, con il consueto slancio insieme estetizzante e spirituale.
Di A Hidden Life si parla in verità da tantissimo tempo, quasi da un lustro. Il titolo precedente del progetto, Radegund, che prendeva il nome dalla località in cui il film si apre, è stato sostituito da un riferimento colto a una citazione del romanziere inglese George Eliot, secondo la quale il bene del mondo dipende in parte da atti non storici e se le cose non sono così male come avrebbero potuto essere è in parte a causa di quanti hanno vissuto una vita nascosta (quella del titolo), “riposando in tombe non visitabili”.
Si tratta di una quote bellissima che, proprio in coda, ci dice moltissimo sulla natura misteriosa di un’operazione che rinuncia alla consueta parata di divi degli ultimi, discutibili film. Per tornare a intavolare una narrazione più classica, con attori poco noti al servizio di esistenze invisibili nella storiografia ufficiale, nel bene come nel male. Malick si sposta addirittura nella Vecchia Europa, risale al cinema bellico de La sottile linea rossa e lo adatta allo stile delle sue fatiche più recenti, comunque presente e a dir poco invasivo: immagini ricercate e auliche, grandangoli usati come se non ci fosse un domani, voci fuori campo che s’interrogano filosoficamente sulla matrice transitoria ed eterna dell’esperienza umana sulla terra.
Dietro le nobili intenzioni e il sentimentalismo di fondo si tratta, a tutti gli effetti, di un grande spettacolo audiovisivo e d’autore, a conti fatti più esteriore che interiore, più affamato di bellezza paesaggistica che di sentimento. Al suo interno c’è il bisogno disperato di ricongiungersi con l’incanto della natura, che invece veniva mostrata in maniera molto più inquieta e e mobile nei vecchi film realizzati da Malick negli anni ’70, La rabbia giovane e I giorni del cielo, che rimangono delle gemme lontanissime nel tempo e non più replicabili.
Per coloro che ci sperassero almeno un po’, va dunque preso atto del fatto che quel cinema così libero e selvaggio in A Hidden Life non viene certo riesumato: Malick nel frattempo è evidentemente invecchiato come uomo e come pensatore e dietro la bulimia degli ultimi anni è difficile non vedere i fantasmi di una debolezza sintomatica, la paura della morte, la coazione a ripetere un po’ sinistra di un gesto filmico che si perpetua in maniera sempre identica per esorcizzare chissà quale vuoto.
Eppure, dato tutto ciò per acquisito e con una durata non da poco prossima alle tre ore, A Hidden Life in più di un momento perlomeno fa riassaporare l’umanesimo indifeso e di grande risonanza mistica di The Tree of Life, ma anche lo splendore di quella visione panoramica e ad ampio respiro del cosmo e delle interconnessioni di cui si diceva, tra l’umano e il creato, il terreno e il divino. Ragioni per le quali si tratta, senza ombra di dubbio, del miglior lavoro del cineasta texano dai tempi del film che proprio a Cannes gli valse la Palma d’Oro nel 2011. Nella speranza che rappresenti un viatico e un punto di passaggio per tornare a riassaporare appieno quelle vette.
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