Festa di Roma 2019, Jesus Rolls: la recensione di Roberto Recchioni

DI COME TURTURRO SI É DIMENTICATO CHE NON SI SCHERZA CON JESUS

Jesus Rolls – Quintana è tornatoè un film destinato a lasciare scontenti quasi tutti.
Prima di tutto perché, e questo bisogna dirlo con chiarezza, è un film con alcuni problemi: è discontinuo, a tratti è girato con sciatteria, la forte componente di improvvisazione ogni tanto sfugge di mano al regista, il tono è un poco schizofrenico nella sua alternanza di commedia e dramma e non si può dire che la narrazione sia organica o pienamente consapevole. Ma la vera ragione per cui questo film è destinato a non incontrare il plauso del pubblico (e, forse, anche della critica) è che non è quello che il pubblico (e, forse, anche la critica) stava aspettando da anni di vedere. In poche parole: questo non è uno spin-off de Il Grande Lebowski in nessun modo e maniera. Non ha la volontà di esserlo e fa di tutto per allontanarsi dal suo progenitore. Persino il protagonista, quel Jesus Quintana che i Coen hanno saputo rendere iconico e immortale con non più di tre minuti di presenza a schermo, è sostanzialmente un personaggio del tutto diverso da quello incontrato dal Drugo e dai suoi compagni sulla pista da bowling, tanto nella caratterizzazione quanto nell’aspetto. La discontinuità è talmente forte che viene da pensare (abbastanza cinicamente, lo ammetto) che Turturro abbia insistito così tanto per avere la possibilità di usare nuovamente quel nome e quel character, solamente per dare a questo film, così strano, così storto, come anomalo in tutto, qualche chance di essere visto. E credo che questo sia l’unico, vero, sbaglio che posso imputare alla pellicola e al regista.
Perché se visto per quello che è, cioè un piccolissimo film indipendente che prende spunto da un libro e dal suo adattamento cinematografico francese (Les Valseuses, 1974, I Santissimi da noi, 1974), che aspira al Truffaut di Jules e Jim, al Jarmush di Daunbailò, al Wenders di Paris Texas, ma che finisce per essere una versione di Sundance Film Festival di Così è la vita di Aldo, Giovanni e Giacomo (e Massimo Venier), la pellicola di Turturro non è malvagia: ha dei momenti molto toccanti, dei personaggi a cui è davvero facile voler bene, dei grandi attori ( in particolare Bobby Cannavale e la sempre maestosa Susan Sarandon), dei momenti davvero buffi (assieme ad alcuni davvero imbarazzanti, ma è voluto), e porta avanti un discorso solare sul sesso come terapia e mezzo per scoprire sé stessi e gli altri.
Ma non è Il Grande Lebowski. Nemmeno lontanamente. E se mi metti Jesus Quintana come protagonista, io credo che sia lecito che il pubblico, qualche traccia, stilistica o tematica, al capolavoro dei Coen, se la aspetti. Anzi, no: la pretenda.
Quindi, quel personaggio che probabilmente è stato il mezzo che ha permesso a Turturro di trovare i soldi per fare questo film d’autore d’altri tempi e che gli farà staccare anche qualche biglietto in sala, si rivelerà pure la sua più grossa palla al piede perché finirà per imporre un paragone scomodo e, per forza di cose, perdente.
Molto meglio sarebbe stato se il protagonista si fosse chiamato con un nome diverso. Avremmo tutti giudicato la pellicola in maniera meno severa e critica.
Peccato.

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