Festa del Cinema di Roma 2021, Alfonso Cuarón svela i suoi film italiani preferiti: «Amo Checco Zalone, è un maestro»

Il regista messicano di Gravity e Roma, due volte premio Oscar, ha tenuto un'appassionante lezione sul cinema italiano, omaggiando in particolare i fratelli Paolo e Vittorio Taviani e rivelando un inaspettato amore per il comico pugliese

Alfonso Cuarón

Il regista messicano Alfonso Cuarón, due volte premio Oscar per Gravity e Roma, ha tenuto un Incontro Ravvicinato col pubblico alla Festa del Cinema di Roma, nel quale ha parlato del suo personale rapporto col cinema e in particolare con i film e i registi italiani, condividendo con i presenti un piccolo viaggio attraverso dodici titoli per lui fondamentali della cinematografica nostrana. 

«La spada nella roccia è il primo film che ho visto, ricordo la barba di Merlino che si attacca alla porta – ha esordito – Il nuovo mondo della Pixar ha portato dentro l’animazione nuove tematiche, ma i film Disney mi piacciono ancora». Sul cinema italiano ha detto in apertura: «Il cinema italiano è entrato nella mia vita una sera, quando avevo 7-8 anni. Mio cugino è venuto a dormire a casa, i miei erano credo a una festa, e ho potuto vedere i programmi per adulti. Ho visto Ladri di biciclette e mi sembrò un film d’azione. L’amore per il cinema da quanto mi ricordo ce l’ho da tutta la vita, ma quel film mi ha aperto gli occhi su un altro tipo di cinematografia». 

Alludendo all’Incontro Ravvicinato con Quentin Tarantino tenutosi prima del suo ha scherzato: «Quentin è bravissimo a fare liste di 10, io no! Per me il cinema italiano è fertile, diversissimo, vastissimo. Fuori dall’Italia molti registi sono però quasi dimenticati, purtroppo», per poi omaggiare con più di una standing ovation nel corso della serata Paolo Taviani, Valeria Golino ed Emanuele Crialese, tutti presenti in sala, nella sua lista e nelle relative osservazioni del cineasta che vi riportiamo di seguito.

1. Padre Padrone (1977) di Paolo e Vittorio Taviani 

Mi attrae il cinema che per me è un mistero, quando non capisco il processo di creazione. In questo film c’è una profonda umanità, ma anche un approccio medico, con una disciplina marxista, il tutto senza retorica. Anche Pasolini ha portato avanti questo approccio medico, marxista e umanista nei suoi film. 

2. I nuovi mostri (1977) di Dino Risi, Ettore Scola, Mario Monicelli

La specificità di questa commedia all’italiana è parlare di tante cose, ci sono la gioia della commedia ma anche l’osservazione sociale, e nel caso di Monicelli pure la malinconia della vita e una critica fortissima al carattere italiano. E poi c’è un casting che è unico nel mondo! In seguito la commedia all’italiana è diventata una celebrazione e non una critica, e per me è un peccato. Amo Checco Zalone però, è un maestro, peccato non sia qui! Mi piace anche Germi, ha affrontato generi diversi in maniera molto profonda ed era uno che sapeva colpire duro. 

3. Dillinger è morto (1969) di Marco Ferreri

Un regista fondamentale, purtroppo molto dimenticato, il più sovversivo. Sovversivo come Godard ma con l’assurdo di Bunuel e dalla sua una diagnosi davvero precisa della società e, forse l’aspetto più importante, del maschio: questo film è stato fatto cinquant’anni fa, ma è attuale. Ferreri fatto film in Italia, poi in Francia ma ha iniziato in Spagna con due commedie, El Cochecito e El Pisito, bellissime ma accademiche. Poi è come se avesse detto a se stesso di non essere un cineasta professionista e si è dato il permesso di fare tutto, come in Non toccare la donna bianca e Ciao, maschio, che ha girato a New York con Depardieu e Mastroianni. Quel film è un casino, ed è divertente. La costumista di Ferreri mi disse che la vera ragione di fare La grande abbuffata era che Tognazzi, Mastroianni e Piccoli mangiavano sempre, per cui Ferreri disse: facciamoli morire mangiando! L’opera di Ferreri è come un incidente per strada, non puoi guardare da un’altra parte, e Dillinger è morto è un film silente, quasi muto, ci saranno due battute in tutto. L’America oggi è poco interessata all’elemento sovversivo, mentre in Francia Leos Carax, con Holy Motors in particolare, sicuramente lo è. 

Foto: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for RFF

4. Salvatore Giuliano (1962) di Francesco Rosi

Solo nella scena in cui la madre lo piange si vede il bandito in carne e ossa. Il resto non è una ricostruzione, è una mitologia di Salvatore Giuliano e dell’impatto di una vita. La madre di Salvatore è la madre, tutti le madri del mondo che piangono, è la Pietà. Come se Rosi ti dicesse: questo sei tu. L’approccio all’evento storico, per la sua disciplina, sicuramente anticipa La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo. Si tratta di un film naturalista, non realista, con una straordinaria fotografia di Gianni Di Venanzo: un terreno bianco, difficilissimo, con un sole fortissimo. I tecnici italiani sono straordinari, penso anche a maestri come il direttore della fotografia Giuseppe Rotunno, il montatore di tantissimi film importanti Ruggero Mastroianni, lo scenografo Dante Ferretti. 

5. L’uomo meccanico (1921) di André Deed

Quando si parla del cinema italiano si dimentica spesso il cinema muto. Questo film serve a menzionare l’importantissimo movimento futurista. Il regista è francese ma la produzione e il film sono italiani ed è interessantissimo perché è il primo esempio di robot nel cinema, il design anticipa Metropolis. Dura 45 minuti e c’è un robot che si trasforma in un pericolo per la gente, è Terminator 70 anni prima e l’ha fatto il cinema muto italiano. Ha un finale felice anche, come il primo Terminator in effetti, forse Cameron l’ha plagiato! 

6. I compagni (1963) di Mario Monicelli

Un film tragico, ma anche diverso da altri che Monicelli ha fatto. Per Mastroianni era tutto facile, con lui avevi la sensazione che fosse tuo amico, come se lo conoscessi. In virtù di questa sua qualità poteva correre il rischio di fare personaggi dubbiosi, lo spettatore non lo giudicava, ed è sicuramente il mio attore preferito della storia del cinema. Guardava sempre al processo di fare cinema e non al film, aveva la gioia di lavorare con la gente sul set, e infatti tutti i suoi personaggi sono pieni di vita. 

7. C’eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola

Scola è un cineasta che amo davvero, con una carriera molto diversa. Il suo primo film è forse più vicino alla commedia. Questo film racconta di come a volte il mondo cambi, ma certe convinzioni rimangano oneste e integre. Il personaggio di Gassman, ad esempio, invece si corrompe. L’inizio di C’eravamo tanto amati presenta una preoccupazione più formale, che Scola ha poi portato avanti nel corso della sua carriera. L’approccio italiano al melodramma è più realista di quello americano, il suo cemento è il contesto sociale. Questi registi lavoravano in un’epoca fin troppo ideologizzata della Storia, molti aderivano a un partito preciso, eppure i loro non sono film ideologici. 

Antonio Monda, Alfonso Cuaron e Richard Peña. Foto: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for RFF

8. La Dolce Vita (1960) di Federico Fellini

Nel piano-sequenza sequenza di Roma sul mare ho utilizzato il vento di Fellini, che c’è sempre, in Amarcord, La Dolce Vita ovviamente, e in E la nave va. Fellini è il regista fondante del cinema moderno, è interessante nella sua opera la transizione dal post-neorealismo all’imbracciare totalmente il fellinismo, in modo unico e sempre con l’ossessione della donna. Era un grande tecnico, un maestro.

9. Le quattro volte (2010) di Michelangelo Frammartino

A volte per provocare dico che la narrazione è il veleno del cinema. Il cinema può esistere senza musica, senza attori, il colore, il suono e la storia, ma non può esistere senza il principio della camera che è il tempo. E Frammartino è un maestro dell’osservazione del tempo e del flusso dell’esistenza nel tempo. Questo per me è uno dei film più importanti di questo secolo, e come Padre Padrone è un film misterioso per me, non capisco da dove arriva l’approccio creativo e come Frammartino l’ha costruito nella sua mente. La narrazione si può ritrovare sempre ovunque, di questo film se ne possono dare cinque versioni narrative diverse, ma non è importante. L’importante sono i vestiti stesi, non il filo che li sostiene. Gli abiti a volte sono i personaggi, a volte il tempo, a volte un’ossessione tematica, come in Steve McQueen oggi con le sue preoccupazioni formali o con Apichatpong Weerasethakul tra i videoartisti, il filo non conta. Sokurov, Reygadas, Ceylan, Albert Serra e Pedro Costa sono per me oggi dei cineasti puri, che hanno la preoccupazione del tempo. 

10. Respiro (2002) di Emanuele Crialese

Questo film ha preso tutta la lezione del cinema italiano degli anni ’40, ’50 e ’60. Se vedi Valeria Golino, che è bravissima nel film, e l’inizio pensi a Visconti, al primo Rossellini. C’è il personaggio che si confronta con l’habitat naturale, ma dopo è un’esplosione di Crialese puro, è un cinema più moderno, più astratto, ancorato a una realtà che non è data solo dal contesto ma anche dalle emozioni. Ho una profonda ammirazione per il cinema di Emanuele. 

11. Miele (2013) di Valeria Golino

Valeria non è solo una grande attrice ma anche uno dei registi moderni più importanti. L’ho visto a Londra questo film, lei è una sicurezza come regista, si affida al momento e all’onestà dei momenti. Il film, un pezzo dopo l’altro, dà l’idea che quello che accade sullo schermo succeda realmente. Non vedo la tecnica, anche se la natura del cinema è che la tecnica sia parte del linguaggio. Con Miele Valeria fa sì che questa tecnica sparisca, tutto il personaggio principale è in primo piano, senza sentimentalismo, in modo dritto, senza retorica e senza giustificazioni. Valeria mette tutto a distanza, ed è il potere del film. 

12. Lazzaro felice (2018) di Alice Rohrwacher

Oltre a Pasolini e Olmi ci vedo anche i Taviani per la componente mistica e spirituale. Come in Respiro di Emanuele Crialese anche qui è stata recepita tutta la lezione dei maestri ma si va a cantare con la propria voce, è questo che lo rende così speciale. C’è la ricerca della bontà dell’umanità, con una preoccupazione per il dolore sociale. 

Foto: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for RFF

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