L’umanità, in poche linee

Altan e Delisle, due autori che sembrano avere poco in comune. Ma è davvero così?

A me gli occhi di Altan (Salani Editore) è una raccolta di strisce e vignette, costruita interamente sull’ironia dell’autore, sulle sue battute, e sull’assurdità di certi comportamenti e situazioni. È satira, sì, ed è pure commedia. Riesce, come fanno le cose migliori, a cogliere pienamente l’essenza dell’uomo e delle sue contraddizioni: lo spoglia di tutto quello che ha, della sua sicurezza, dei successi, dei traguardi raggiunti, e poi lo analizza sotto un altro punto di vista: non il punto di vista misericordioso di chi è pronto a perdonare; ma il punto di vista attento di chi distingue i chiaroscuri, gli estremi e le infinite sfaccettature dell’individuo.

Altan è un osservatore meticoloso: per le sue strisce, punta sull’immediatezza e sulla semplicità; non gira intorno ai concetti, non si ripete, non si impantana nei ragionamenti. Sa esattamente cosa dire e come dirlo. Racconta sempre di essere stato fortunato, di aver cominciato a fare questo lavoro per puro caso (l’ha detto anche a Simonetta Sciandivasci in una bella intervista pubblicata da Il Foglio e ripresa alla fine di A me gli occhi). Ma la verità è che anche il talento conta. E nel caso di Altan, il talento di vedere oltre i veli, le strutture, oltre le bugie e le brutture della società è stato determinante.  

Fuggire di Guy Delisle, pubblicato da Rizzoli Lizard, racconta la storia di Christophe André, del suo rapimento e della sua sofferenza. Anche qui, come nel caso di Altan, il talento è importantissimo. E il talento di Delisle, che negli anni ha scritto e disegnato tantissimi reportage mostrando il mondo e le persone nella loro fragilissima verità, è quello di saper dosare.

Non è mai morboso, mai ripetitivo, mai insistente. Anche nei passaggi più drammatici è in grado di inserire un pizzico di ironia (e di autoironia) e di parlare al lettore con onestà: io, autore, non sono migliore o peggiore; sono solamente un tramite per una storia, e questa storia, perché l’ho vissuta o   perché l’ho ascoltata, riflette ciò che sono. Delisle è uno dei maestri di questo tipo   di racconti; è un esempio per tutti quelli che vogliono fare lo stesso mestiere, e che vogliono provare a riassumere nel linguaggio del fumetto culture e popoli interi.

Con Fuggire ha fatto una cosa particolare e, proprio per questo, complicatissima: non si è concentrato sul mondo esterno, ma sull’intimità della solitudine, sui dubbi più atroci e dolorosi, e sulla forza di volontà che a volte serve per superare gli ostacoli più difficili. Sulla carta questi due libri, A me gli occhi e Fuggire, sembrano diversissimi: e, per certi versi, lo sono. Delisle e Altan hanno due storie differenti, ma si muovono entrambi sul terreno del racconto dell’umano: sono due studiosi, non solo due autori; sono due fotografi armati di matita e carta, capaci di dire tutto quello che c’è da dire e di sintetizzare la nostra pochezza e mediocrità con una linea. Evocano la tragedia e la speranza con una battuta; cristallizzano lo sconforto con una sagoma. Altan ha raccontato, e racconta ancora, l’Italia e gli italiani. Delisle si sposta in continuazione e ogni volta, con i suoi libri e i suoi reportage, fa centro. 

© Francesco Tullio-Altan/Quipos srl, Adriano Salani Editore S.p.A. (1), © Rizzoli Lizard

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