Comedians di Gabriele Salvatores: la risata come medicina e buco nero. La recensione

Il regista premio Oscar per Mediterraneo riavvolge il nastro della sua carriera con un film da camera su un gruppo di cabarettisti, alle prese con un esame decisivo per le loro vite e carriere

Comedians
PANORAMICA
Regia (2.5)
Sceneggiatura (3.5)
Interpretazioni (3)
Fotografia (3)
Montaggio (2.5)
Colonna sonora (2.5)

Il proprietario di un club di periferia, un agente immobiliare e suo fratello, un muratore e un impiegato delle ferrovie si incontrano al corso serale di stand-up comedy di Eddie Barni (Natalino Balasso) per prepararsi ad un’entrata in scena da tempo attesa. Verrà ad assistere allo spettacolo Bernardo Celli (Christian De Sica), il talent scout che offrirà ad uno di loro un ingaggio nella sua agenzia Artisti e manager e un contratto per il suo programma comico in prima serata televisiva. Quei 58 minuti prima del debutto saranno l’occasione per confrontarsi sulla reciproca idea di ciò che fa ridere e ciò per cui vale la pena intraprendere il mestiere di comico.

In Comedians Gabriele Salvatores ha rimesso mano all’omonimo testo di Trevor Griffiths, datato 1987. Un ritorno alle origini, per lui: quell’opera teatrale degli anni ’70 il regista premio Oscar per Mediterraneo l’aveva infatti già messa in scena, al Teatro dell’Elfo, a metà anni ’80, con un distacco temporale assai minore e un gruppo di attori (Paolo Rossi, Silvio Orlando, Claudio Bisio, Antonio Catania…) destinato a far parlare di sé. Ne aveva poi tratto anche un film, Kamikazen – Ultima notte a Milano, adattamento libero e sregolato.

Perché tornare, proprio ora, a un kammerspiel da tutto in una notte, ambientato in una Milano piovosissima che c’è ma non si vede, e ripristinare una maggiore aderenza alla fonte letteraria, quasi parola per parola (escludendo ovviamente la Manchester degli anni ’70 e i riferimenti datati alla lotta di classe)?

Comedians ha il sapore evidente di un film sentito, nel senso meno retorico del termine. Quei progetti che si fanno, magari con pochi e mezzi e su set agili (una manna anche per i produttori, in tempo di pandemia) per affrontare domande in sospeso e latenze del passato. Per scrollarsi di dosso un po’ di polvere, e guardare al futuro con l’orizzonte davanti a sé un po’ più schiarito di prima.

Salvatores è alla vigilia delle riprese di un film importante e di sistema (Il ritorno di Casanova, da Schnitzler, con Servillo e Bentivoglio). Quale momento migliore, dunque, per riavvolgere il nastro? La leggerezza della sperimentazione irrequieta non gli è in fondo mai mancata, anche quando ha spinto i suoi ingranaggi produttivi alle soglie dell’harakiri commerciale e di critica. Anche Comedians, dal canto suo, è un film per certi versi spudoratamente inattuale nella forma, ma suo malgrado attualissimo nella sostanza. Le domande, anche in tempi di assolutismi su LOL e Pio e Amedeo, sono sempre le stesse: fin dove è possibile spingersi per far ridere? Su cosa si può e su cosa non si deve ridere? La risata deve essere una medicina dolciastra, magari amara, o limitarsi a fare il solletico?

Comedians somiglia a una seduta spiritica con sketch e battute, a un talent show improbabile scaraventato nell’abisso e nel buco nero della malinconia (il lavoro su Ale e Franz va ovviamente in questa direzione), dello spaesamento, del vuoto di senso, dell’energia della gioventù un po’ mal riposta: lo evidenzia bene il personaggio di Giulio Pranno, che senza alcun motivo sembra uscito dalla Suicide Squad della DC e, pur con grande abnegazione, non trova mai i giri giusti. I personaggi nel complesso sono tutti comici, ma è come se ciascuno di loro si portasse dietro un’ombra ed è pertanto interessante seguirne il continuo riposizionarsi dialettico.

Comedians, tirando le somme, parla di comicità come se parlasse di politica, s’interroga sui confini dell’agenda delle scorciatoie retoriche, delle battute come risposte facili e punch line di grana grossa e a buon mercato. La comicità del film, come la politica di oggi, somiglia a un buco nero che ognuno riempie di ciò che vuole, senza andare troppo per il sottile, e che anche quando gioca sul terreno della presunta complessità trova solo degli inutili e auto-referenziali arzigogoli.

A fare tutta la differenza del mondo è allora la linea sottile tra chi considera qualcosa – non solo la comicità: lo spazio si può riempire a piacere – il mezzo e non il fine per raccontare il mondo e chi invece si accontenta, magari polarizzando dualismi e contrapposizioni, di solleticare stereotipi e prese di posizione tanto blande quante violente. La sfida più difficile rimane una soltanto, solo che a evidenziarla ci pensa, in modo sintomatico, proprio il cattivo di turno, ovvero il personaggio di De Sica: non cercare di essere profondi, ma essere semplici.

Foto: Indiana Production/Rai Cinema

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