Cine&Comic Fest 2019, Zerocalcare e Giacomo Bevilacqua: «Netflix, dobbiamo parlare!»

Nella quarta giornata dell'evento, i due fumettisti ci hanno parlato del loro rapporto con i social, con la politica e con la loro stessa arte, approfondendo progetti già noti e svelando dettagli su quelli futuri

La Piazza delle Feste, la struttura di Renzo Piano ai piedi del Bigo, l’ascensore panoramico del porto antico di Genova e un pubblico curioso e appassionato, aspettano l’incontro che chiude la quarta giornata del Cine&Comic Fest 2019: Zerocalcare e Giacomo Bevilacqua chiamati a raccontarsi da Giorgio Viaro.

Il clima dell’incontro è gioviale, Giacomo e Michele sono amici e scherzano sul palco con scambi che, inevitabilmente, scatenano nel pubblico qualche sonora risata.

Zerocalcare – che per il Fest si è occupato dei manifesti – quest’anno nella nuova veste di co-direttore accanto a Viaro, è una presenza ormai fissa a Genova. 

«Sono stati tre anni complicati, non sempre tutto è andato bene, ma allo stesso tempo sono stati anni nei quali ho imparato a sopravvivere un po’ meglio, a comprendere quando è importante anche dire NO agli accolli che la vita propone, anni in cui ho esplorato nuovi linguaggi e nei quali ho deciso di percorrere anche altre strade narrative, come l’animazione».

Quando parla della sua routine, lo fa come se in qualche modo ne fosse prigioniero: «La vita di chi fa il mio mestiere – racconta – è una vita di solitudini cadenzate. Per sei mesi tutto, da quando mi alzo a quando vado a dormire, è scandito dal lavoro. Nei sei mesi successivi invece, si passa continuamente da una città all’altra, tra presentazioni e sessioni di firme che permettono di incontrare i lettori. Ad un certo punto ho avvertito la necessità di inserire elementi nuovi»

«Per me è la stessa cosa – scherza Giacomo – ma io sorrido. In effetti ci sono giorni nei quali passi da una situazione in cui sei ancora in pigiama, ad un’altra nella quale sei già in pigiama. Tra un momento e l’altro hai confuso la colazione col pranzo, non sai bene se hai dimenticato di portare il cane a fare pipì o hai dimenticato che lo hai già portato, il tutto mentre sei letteralmente preso da quello che stai facendo».

«Tra di noi – lo incalza Zerocalcare – esistono almeno due differenze decisive. La prima è un rapporto con il pubblico diverso; e poi c’è un impegno politico che per me, spesso, è raccogliere storie e aiutare ragazzi che hanno vite complicate. Molto di quello che faccio è finalizzato ad aiutare persone che si trovano nei guai con la legge o, come per il caso del popolo curdo, con la necessità di dare loro la giusta voce, una testimonianza onesta, una contronarrazione che li racconti al di fuori del rumore che spesso li sovrasta».

E poi c’è il rapporto con i social: «Per chi ha un profilo pubblico i Social sono parte della narrazione, non esiste che uno scriva una fesseria sulla sua bacheca per poi dissociarsi, come se la vita pubblica e il pensiero espresso siano due cose distinte. Per questo motivo cerco sempre di essere chiaro quando mi espongo; e spesso non basta. Per certi versi, alle volte, mi sento tipo un politico degli anni ‘60, uno che doveva mantenere un profilo pubblico basso sempre e comunque. Giacomo ad esempio vive nel 2019, se posta una foto da New York la gente lo apprezza, se lo faccio io mi trovo la bacheca fitta di insulti: “A stronzo te sei fatto li soldi” e roba cosi».

L’impegno Politico è una costante della produzione di Michele: «Il mio primo fumetto di una decina di tavole, è stato quello realizzato per raccontare il mio G8, un’esperienza decisiva e dolorosa. Per cui i conti che molti stanno facendo adesso con un pubblico che pare sorpreso che un fumettista abbia anche posizioni politiche chiare, io l’ho fatto anni fa. Il mio problema semmai non è spiegare il mio attivismo a chi conosce le mie posizioni, ma relazionarmi con chi lo condivide. A Torino, ad esempio, in occasione della mia decisione di boicottare il Salone del Libro per la presenza di CasaPound, mi sono trovato a discutere con persone che volevano spiegarmi come avrei dovuto manifestare il mio disagio per quella presenza».

A Giacomo invece, come ad altri fumettisti, capita sempre più spesso di sentirsi dire che dovrebbe tornare a fare fumetti senza occuparsi di politica.

«Da questo punto di vista non avevo avvertito la necessità di spendermi in prima persona. Vengo da una famiglia da sempre impegnata politicamente, per cui quello che penso e la mia formazione, le ho sempre ritenute ovvie senza doverle spiegare. Quello che sta capitando oggi è profondamente diverso, perché non è solo politica.

Con i fumetti di Panda ho sempre raccontato il punto di vista di chi, in qualche modo, subisce angherie. A Panda piace, la mia striscia, è nata per dare voce a chi è vittima di bullismo, sessismo o violenza omofoba. Io stesso, come molti, sono stato preso di mira dai bulli. Nel momento in cui la politica smette di parlare di progetti ma diventa bullismo, si trova a denigrare o canzonare chi è più fragile, cercando nella prepotenza il consenso, l’invasione di competenza non è la mia, ma della politica. Una volta che una cosa del genere diventa evidente, agire non è una scelta, ma un dovere».

Tornando alle loro produzioni, è interessante vedere quale sia il rapporto con il mercato del fumetto italiano e quale invece la loro voglia di esplorare, ad esempio, il linguaggio cinematografico.

«Per me – racconta Giacomo – il percorso è stato canonico. La passione è diventata studio, poi pratica e alla fine sono stato notato da Lorenzo Bartoli, una persona straordinaria e un genio scomparso troppo presto. Per molti avere canali di esposizione enormi, dai blog ai social, è stato decisivo e il mercato ha reagito di conseguenza. Quello pubblicato è tale e tanto che inevitabilmente assieme a roba bella – e ci sono ragazzi giovanissimi che sono dei mostri di bravura (‘mortacci loro) – ci sono prodotti pessimi che inevitabilmente spariranno».

La visione di Michele – fedele alla sindrome dell’impostore da cui è effetto – è più apocalittica: «Per me è tutta una bolla, prima o poi si accorgeranno che facciamo dei fumetti pessimi e la bolla si sgonfierà» scherza. Per poi fare un’analisi seria:

«C’è una produzione enorme che mostra anche una grande qualità. I ragazzi sono bombardati da mille stimoli e spesso hanno la tecnica, che prima uno raggiungeva molto più avanti, a cui però manca la maturità nell’elaborare contenuti, che arriva solo col vissuto».

Sul rapporto col cinema, messa da parte la non proprio fortunata esperienza con La Profezia dell’armadillo, Zerocalcare sta pensando all’animazione: «Il problema, per quel mondo, è che non hai il controllo di tutto quello che fai. Occorre trovare persone di cui fidarsi e a cui delegare certi momenti della produzione».

Una delega che ad esempio non spaventa Giacomo: «Da un lato, dovessi animare una serie come quella di Panda, mi piacerebbe farlo curando direttamente la produzione; ma se invece un mio lavoro, ad esempio Lavennder, dovesse trovare l’interesse di una produzione a me congeniale, non avrei problemi a vedere cosa ne verrebbe fuori con o senza il mio intervento, per il semplice fatto che io ho pensato a quella storia a fumetti perché era quello il linguaggio per me congeniale a quella storia».

Sui progetti futuri entrambi hanno scadenze decisamente interessanti. Giacomo spiega:

«Sto lavorando per Bonelli ad Attica, un racconto distopico, una miniserie che parla molto di attualità. E poi ho cominciato per Bao Pubblishing un progetto che vedrà la luce nel 2021. Ho immaginato la storia di una ragazza in un’Italia deserta, che ha chiuso le entrate fino a spopolarsi. Immagino questa ragazza che decide di partire e lo fa a piedi, come se volesse staccarsi da una terra che ha amato e che deve abbandonare lentamente, come quando una storia d’amore finisce. Per adesso è poco più di un progetto, vedremo cosa ne verrà fuori».

Più serrate le scadenze per Zerocalcare: «Nei prossimi mesi uscirà con Bao, La scuola di pizze in faccia del professor Calcare, una raccolta di quanto apparso sul blog e in altre pubblicazioni, legate assieme da una parte inedita. Poi per settembre ho in mente un progetto che vorrei presentare a Netflix.

Prima parlavo di persone di cui occorre fidarsi al punto da poter affidare loro una parte del proprio lavoro. Ecco, Giacomo – con cui prima o poi finiremo quella cosa chiamata Caldaje nata sui social – è una delle persone di cui non solo mi fido, ma di cui apprezzo il lavoro. Questo progetto con Netflix vorrei realizzarlo con lui, solo che al momento la difficoltà è capire con chi, di Netflix, parlare di questa cosa. Ho provato a scrivere ma non ho ricevuto risposte, ma forse sbaglio gli indirizzi»

«Hai provato Netflix@Netflix.com?», lo incalza Giacomo, anche se il senso è chiaro.

Zerocalcare chiama Netflix, rispondi Netflix!!

© RIPRODUZIONE RISERVATA