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Benedict Cumberbatch (si pronuncia càmberbac: la c finale è dolce), segnatevi questo nome, perché il ragazzo ha talento. Attore dal pedigree brit raffinato (conosciuto soprattutto per il personaggio di Sherlock Holmes nella serie televisiva prodotta dalla BBC, Sherlock), al cinema si è fatto apprezzare con La talpa e altri ruoli da comprimario.
Il mistero principale di Into Darkness- Star Trek, dodicesima pellicola della serie, in uscita il 13 giugno e diretta da J.J.Abrams, ruota intorno al cattivo interpretato dall’inglese, che ai ruoli da villain sembra aver preso gusto: sarà Julian Assange nel biopic sul co-fondatore di WikiLeaks The Fifth Estate; è lui che si nasconde sotto le sembianze del drago Smaug di Lo Hobbit e diventerà uno schiavista per Steve McQueen in Twelve Years a Slave. Il che conferma una curiosa tendenza di Hollywood a scritturare attori inglesi per i ruoli malvagi.
Del suo personaggio in Star Trek si sa che si chiama John Harrison ed è il terrorista – come si definisce lui – che l’equipaggio del Capitano Kirk dovrà sconfiggere, non prima però di dovercisi alleare. È un uomo che sarebbe capace di mettere in ginocchio il mondo e che agisce per un fine preciso, con fredda logica, perché lui «è meglio, in tutto» sostiene il suo elegante alter ego, che abbiamo incontrato sul set in un breve momento di pausa. Cumberbatch è entusiasta del ruolo, come ci racconta col suo accento perfetto e un ritmo inarrestabile: «È un personaggio straordinario. Lo definirei un idealista, oltre che un terrorista. Le sue intenzioni partono da un concetto di lealtà, ma le sue azioni sono violente, spregevoli e provocano un certo scompiglio. È in cerca della sua vendetta ed è piuttosto pericoloso» spiega. «Usa il suo corpo, le sue armi e la sua incredibile intelligenza per controllare, manipolare e distruggere letteralmente le persone e l’ambiente che lo circondano. È emozionante vederlo in azione. Ed è stato davvero divertente interpretarlo».
È difficile associare il termine terrorista a qualcosa di divertente…
«Questo personaggio non è semplicemente il cattivo. I risultati delle sue azioni violente sono negativi, ma c’è un motivo che lo spinge ad agire in un certo modo, un principio al quale si ispira ed è ciò che mi ha attirato verso il personaggio. E che lo rende tridimensionale: ha una personalità stratificata su diversi livelli. L’obiettivo è di far sentire il pubblico combattuto a riguardo, fargli provare anche compassione e non solo odio».
Quando hai cominciato la tua carriera d’attore, avresti mai pensato di finire a fare un film di Star Trek?
«No, non era sicuramente qualcosa che mi aspettassi. E la fantascienza non era il mio cinema preferito da bambino. Mi ricordo 2001: Odissea nello spazio e Blade Runner, ma non ero un fanatico e non avevo quel senso di appartenenza al gruppo che lega i trekker. A dire il vero, non riuscivo a sopportare di guardare gli stessi film e quindi non sono cresciuto seguendo un particolare franchise».
Ti sei sentito spiazzato ritrovandoti in un mondo di fantascienza?
«Per quanto riguarda l’ispirazione, anche nel genere sci-fi, quella viene dai bei film, nient’altro. Un bel film è sempre un bel film. Ma come attore che si avventura per la prima volta in quell’universo, ho scelto di non guardare le versioni precedenti, perché ho preferito dare la priorità alle esigenze di J.J. (Abrams, ndr) e seguire le sue indicazioni, considerando che il ruolo me l’ha affidato lui. Ma volevo anche essere fedele ai miei standard. Quella per me è stata la cosa più importante». […]