Alice nella città: Io sto bene, Alessio Lapice e Sara Serraiocco sono gli emigranti italiani di ieri e di oggi

Il film di Donato Rotunno racconta due generazioni di emigranti, a cinquant'anni di distanza

Due generazioni di gente che parte, quella che ha lasciato l’Italia negli anni ’60 e i giovani di oggi in cerca di fortuna all’estero. Un tempo si chiamavano emigranti, oggi si chiamano expat: tempi diversi, forse sogni diversi, ma lo stesso forte richiamo delle proprie radici. A raccontarli è il film Io sto bene di Donato Rotunno, presentato Fuori concorso ad Alice nella città nell’ambito della Festa del Cinema di Roma. Io sto bene intreccia in parallelo la storia dell’anziano Antonio Spinelli (interpretato da Renato Carpentieri e, nei flashback che lo rivedono giovane, da Alessio Lapice), emigrato dalla Puglia al Lussemburgo cinquant’anni fa, e la ventenne Leo (Sara Serraiocco), che invece lì è arrivata da poco, per realizzare il suo talento da “vj”. I due s’incontrano per caso: Antonio riconosce in lei le fragilità del suo primo periodo da emigrato e decide di aiutarla.

Sulle note di Io sto bene dei CCCP (la bella colonna sonora è di Massimo Zamboni), Rotunno intreccia passato e presente raccontando qualcosa di molto personale: anche i suoi genitori sono emigrati dalla Basilicata in Lussemburgo negli anni Sessanta. «Noi italiani all’estero portiamo sempre dentro il tema del ritorno e delle radici: c’è chi lo digerisce in un modo, chi in un altro», ha detto il regista. «Senza la generazione dei miei genitori questa storia non avrebbe senso, ma volevo fare un film contemporaneo, non vintage su quello che è successo negli anni Sessanta. Perché quello che racconto accade anche oggi, forse accadrà anche domani. Volevo far incontrare generazioni diverse, ognuno col suo bagaglio».

Alessio Lapice al Best Movie corner (foto di Carlotta Colaleo)

«Una volta si emigrava all’estero in cerca di solidità, mentre Leo è una ragazza che parte alla ricerca della propria identità, per affermarsi come vj», dice Sara Serraiocco del suo personaggio inquieto. «Leo si ritrova all’estero come un animaletto senza punti di riferimento. E proprio questo che caratterizza la nostra generazione: la mancanza di punti di riferimento. È un ruolo più selvatico rispetto a quelli che ho interpretato finora».

Alessio Lapice interpreta invece un ragazzo degli anni Sessanta. E guardare al passato l’ha molto affascinato: «Abbiamo fatto lunghe chiacchierate con Donato sui come le persone si spostavano, come si organizzavano per partire. Magari ci si univa all’ultimo momento a un autobus che partiva dal paese per l’estero. La cosa più tenera del mio personaggio e degli amici che emigrano con lui è che sono totalmente persi in una terra lontana, si sentono precari, hanno paura di come gli altri li guarderanno. Antonio deve mettere insieme tutti i pezzetti: il mondo della sua famiglia, l’Italia, la voglia di ritagliarsi una strada in Lussemburgo. Anche l’amore per una donna che diventerà la sua guida».

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