3) Il rapporto con il pubblico

Mark Gatiss e Steven Moffat hanno fatto la storia della tv: vi spieghiamo perché

Come si passa da questo fotogramma al ritorno di Sherlock a Baker Street? Come ha fatto l’investigatore a sopravvivere alla caduta dal palazzo? Era veramente lui, su quel tetto, o era un manichino/sosia/figurante? Queste (e parecchie altre) sono le domande che ci hanno accompagnato negli ultimi due anni, da quando il terzo episodio della seconda stagione si concluse con la morte apparente di Sherlock e la sua immediata resurrezione. Anni durante i quali i fan hanno riempito Internet di teorie più o meno bizzarre, e hanno provato a coinvolgere nella discussione anche gli autori, sperando di coglierli in fallo e carpire qualche indizio sulla Grande Spiegazione.

Gatiss e Moffat sanno benissimo tutto questo, amano leggere quel che il pubblico dice della loro serie e si divertono a giocarci: il loro è un approccio moderno alla scrittura televisiva, che prevede un costante scambio bidirezionale di stimoli. Che nel caso della terza stagione ha raggiunto livelli meta-narrativi incredibili: dal fan club di Sherlock che ha speso gli ultimi due anni a elaborare teorie sulla sua morte alla fan appassionata che scrive fanfiction gay su Holmes e Moriarty, passando per la scena pazzesca (fine a se stessa, certo, ma geniale) di Sherlock che svela al presidente del suo fan club la sua versione dei fatti, per sentirsi rispondere «tutto qui? Speravo meglio», quasi un’eco di ciò che Gatiss e Moffat si aspettavano di sentirsi rispondere se avessero davvero fornito una spiegazione ufficiale invece che restare sul vago.

Per non parlare, poi, di quegli ultimi secondi dell’ultima puntata, quelli del ritorno (?) di Moriarty, quelli che ci hanno fatto esclamare in coro «ecco, l’hanno rifatto».

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