Non penso di essere l’unico che a Pacific Rim chiedeva in definitiva una cosa sola: riportarmi indietro di 30 anni, ai tempi in cui guardavo i cartoni animati di Mazinga e Goldrake. Ora: è vero che i personaggi del film di del Toro più che a quelli degli anime giapponesi assomigliano a quelli della fantascienza bellica americana – Starship Troopers è un buon esempio – ma le strizzate d’occhio a quell’immaginario sono comunque molte.
Per esempio: gli Jaeger sono diversi tra loro – come gli Astrorobot, o i robot zoomorfi di Yattaman – ognuno con il suo design, le sue armi, le sue caratteristiche fanta-tecnologiche, il suo equipaggio (fratello e sorella russi, padre e figlio americani, tre gemelli cinesi). Oppure: i combattimenti tra robot e mostri hanno una dinamica felicemente arcinota: il robot parte spavaldo, prende un sacco di mazzate, e alla fine sfodera e vince grazie ad un’arma devastante, che fino a quel momento sembrava essersi dimenticato (e non è un’arma qualsiasi: ma qui evitiamo lo spoiler…). E ancora: il film inizia “a metà del guado”. Il mondo è già sotto attacco robot, e il come e il perché si sia arrivati a questo punto è liquidato in cinque minuti di montaggio. Ma in fondo, in quegli anni, non andava così? Quanti di noi vedevano in modo cronologico e completo le puntate di Jeeg Robot d’Acciaio o Mazinga Z? E quanti invece scoprivano quei cartoni a casaccio, ogni pomeriggio in cerca di una battaglia nuova e di un mostro diverso? Gli anime robotici, e il modo in cui li guardavamo all’epoca, erano così: non sequenziali, sincronici.
1) L’effetto Mazinga
L’effetto Mazinga, l’ombra di Cthulhu e gli scienziati pazzi