#Giffoni50, Davide Lorenzano racconta la mafia ne L’abbraccio

Intervista a Davide Lorenzano, regista del documentario sulla mafia L'abbraccio - Storia di Antonino e Stefano Saetta

Tra le anteprime di #Giffoni50 spicca L’abbraccio, un documentario italiano su una storia mai raccontata al cinema, la strage di matrice mafiosa in cui hanno perso la vita il magistrato Antonino Saetta, primo giudicante ucciso da Cosa Nostra, e il figlio Stefano. A firmarne la regia ci pensa il giovane Davide Lorenzano, alle prese con la sua opera seconda, che presenta il lavoro in una masterclass ai giurati del festival il prossimo 29 agosto. La storia ripercorre l’impegno di Saetta nei processi per omicidi del magistrato Rocco Chinnici e del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile e avrebbe presieduto l’appello del Maxi processo.

Davide Lorenzano sul set de L’abbraccio

Perché saranno i giovani di Giffoni a vedere in anteprima L’Abbraccio?

Ho voluto riconsegnare ai ragazzi questa storia poco conosciuta, un tesoro per troppo tempo rimasto sommerso. Vorrei lo guardassero per quello che è stato, un supereroe.

Che età aveva quando ha cominciato a pensare al progetto?

Avevo 26 anni, era il 2017 e dopo il debutto con il documentario su Rosario Livatino ho creduto dovessi in qualche modo chiudere il cerchio perché queste personalità sono accomunate dal medesimo luogo di origine e di morte, ma anche, purtroppo, dall’essere poco conosciuti dal grande pubblico. Eliminati fisicamente prima, intellettualmente dopo.

Ne L’abbraccio, Saetta diventa una graphic novel

E quanto tempo ha impiegato per raccogliere i materiali?

Ci ho messo anni, dopo averne sentito parlare per la prima volta durante un congresso a scuola, perché basta fare una rapida ricerca su Google per vedere che di Antonino Saetta si trovano solo un paio di foto, mentre il figlio è ritratto solo in uno scatto in piedi, con il volto sorridente e la sigaretta accesa. 

Cos’ha di particolare questo racconto di Mafia rispetto ai film su stragi altrettanto efferate?

Mai prima di quel momento, un uomo della Giustizia era stato assassinato con il figlio. E di solito quando si raccontano queste vicende raramente ci si sofferma sull’interiorità, sull’aspetto umano e personale, perché si teme sia troppo intimo come racconto. Io, invece, penso che la comprensione di questi personaggi possa avvenire anche e soprattutto attraverso la conoscenza della loro personalità. Spero che il film ne riaccenda la memoria e la storicizzi, riaprendo un dibattito sulla sua eredità. 

Che tipo di resistenza ha incontrato nel raccogliere le testimonianze?

A Palermo, in occasione delle “vampe” di San Giuseppe, mi trovavo con un operatore a filmare le immagini del rito, ma ci siamo ritrovati accerchiati e minacciati da una paranza di bambini al comando di un energumeno che urlava gli ordini dalla cima della montagna di legna, accatastata insieme a oggetti improbabili.

Verrebbe da chiedersi: chi glielo fa fare?

Sono originario degli stessi luoghi d’origine di Livatino e Saetta, ma mi sono fatto una promessa, quando sono andato via all’età di 18 anni. Avrei voluto fare il cronista e avrei raccontato queste personalità per tenerne viva la memoria perché non sono solo un loro concittadino, ma mi sento quasi un loro figlio.

Foto: © Ciro Meggiolaro

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