Balto e Togo, la leggenda (nelle sale italiane dal 3 settembre e in anteprima a #Giffoni50) ha portato su grande schermo una storia vera di raro coraggio ambientata in Alaska ad inizio del secolo scorso. Brian Presley, oltre ad aver scritto e diretto il film, ha anche interpretato il ruolo del protagonista Leonhard Seppala, un cercatore d’oro che si trasferisce in questa zona remota del mondo. Non ha scovato neppure una pepita, ma ha trovato l’amore in una donna nativo-americana, Kiana, che poi diventa sua moglie.
La vicenda, già trasformata nel cartoon Disney Balto, ripercorre l’eroica Corsa al Siero di quest’uomo, un musher (ossia conducente di una slitta di cani), e del suo fedele amico a quattro zampe Togo, che assieme ad altri professionisti della neve sfidano una temperatura di 60 gradi sotto zero percorrendo 700 miglia in mezzo ad una bufera. Lo scopo? Salvare un intero villaggio, Nome, dove i bambini stanno morendo di difterite e hanno bisogno di una medicina che non può arrivare via aria per via delle condizioni atmosferiche avverse. Una di questi piccoli si chiama Singrid ed è la figlia del protagonista, ecco perché lui si offre di coprire una distanza sette volte maggiore di quella dei colleghi e vuole al suo fianco solo Togo, nonostante l’età avanzata (12 anni) e la stanchezza evidente.
Per mettere in scena in maniera realistica la storia, il regista ci ha messo dieci anni e ha trascorso otto giorni a meno 25 gradi per una spedizione di slitte lungo il Mare di Bering. È così che ha sperimentato gli stati d’animo dei protagonisti: hanno sfidato i propri limiti e la natura in una corsa fisica e mentale contro il tempo per salvare il villaggio.
Coraggio, altruismo e tanta incoscienza: in condizioni estreme, questi uomini e questi cani hanno messo a repentaglio le proprie vite per il bene dei piccoli abitanti della loro terra. Un racconto edificante, quindi, che ristabilisce la fede nel genere umano.
Seppala continua a ripetere: “Togo, portaci a casa” e in alcune scene il film sembra un documentario di una missione impossibile o – come la definisce il protagonista – “la corsa più dura di sempre”. Percorrere una rotta postale in sei giorni con una tempesta artica vuol dire sfidare – parole di un musher – “un inferno là fuori”.
Il ritmo è lento ma incalzante, i personaggi ben delineati e le atmosfere mozzafiato ma sembrano una cornice dei ghiacci, della neve, della tormenta e della bufera che domina la maggior parte della scena, con l’immagine dei cani in continuo movimento.
Il film non risparmia momenti cruenti, tragedie e perdite, quindi la visione è consigliata ai bambini di almeno dieci anni. Non un romanzo di formazione, ma una lezione di vita.
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