La Padrina

La Padrina

Titolo: La padrina

Titolo Originale: La daronne

Anno: 2020

Nazione: Francia

Genere: Commedia

Regia: Jean-Paul Salomé

Cast: Isabelle Huppert, Hippolyte Girardot, Farida Ouchani, Liliane Rovere, Iris Bry, Nadja Nguyen, Rebecca Marder, Rachid Guellaz, Mourad Boudaoud, Abbes Zahmani, Yann Sundberg, Youcef Sahraoui

Distribuzione: I Wonder Pictures

Patience (Isabelle Huppert), traduttrice specializzata in intercettazioni telefoniche per la squadra antidroga, frustrata e annoiata da un lavoro duro e mal pagato, durante un’intercettazione viene a conoscenza dei traffici poco raccomandabili del figlio di una donna a lei cara. Decide così di dare una svolta alla sua vita e intrufolarsi nella rete dei trafficanti, per proteggere il giovane. Quando si trova tra le mani un grosso carico di droga, non si fa sfuggire l’occasione e diventa La Padrina, una “trafficante all’ingrosso”. Fa esperienza sul campo e poi… riporta tutte le informazioni in ufficio al servizio della sua squadra!

INTERVISTA AL REGISTA JEAN-PAUL SALOMÉ

Cosa ti ha spinto a creare il film partendo dal libro “La Daronne” di Hannelore Cayre?
Ho molto apprezzato la storia, i toni e la tipologia di commedia/thriller. Soprattutto ho visto in essa la possibilità di fare un ritratto romantico di una donna attraverso il grande ruolo svolto da Isabelle Huppert. Ho immaginato il contrasto tra lei con la sua corporatura minuta e questo mondo rude di poliziotti e spacciatori in Porsche Cayenne, che lei tratta in modo irriverente. Ma tutto è accaduto grazie ad una serie di fortunate circostanze. Nell’estate 2017 ho lasciato Unifrance, di cui sono stato presidente per quattro anni. Nei miei ultimi mesi lì, ho viaggiato molto proprio con Isabelle Huppert che stava promuovendo ELLE di Paul Verhoeven in giro per il mondo. Siamo andati d’accordo ed alla fine del tour le ho confessato che mi sarebbe piaciuto lavorare con lei, che mi ha risposto: “Sì! Una commedia sarebbe fantastica!”. Nel frattempo Marc Irmer, che ha prodotto nel 2009 LEGAL AID, diretto da Hannelore Cayre, ha pensato a me per riadattare La Daronne. Mi è stato inviato il libro, che ho adorato. Quando incontrai Hannelore, mi disse che c’erano altri registi in lizza, ma tutti erano troppo focalizzati sull’aspetto thriller del film, facendo decadere il lato comico. Io invece ero molto più interessato nel bilanciamento di questi due generi, il che sembrò aggradarla. Le parlai di Huppert e per una fantastica coincidenza quando chiamai Isabelle, che stava arrivando nel suo luogo di villeggiatura, mi disse che aveva comprato il libro all’aeroporto, che l’aveva letto sull’aereo e che le era molto piaciuto. Ce l’avevo fatta! Iniziammo a lavorare così all’adattamento, al quale partecipò anche Hannelore.

Quali sono le principali differenze tra il libro ed il copione?
Il passato di Patience è più sviluppato nel libro: la sua infanzia, gli affari del padre. Noi volevamo ricomprenderlo in alcuni flashback, ma ciò rendeva la narrativa molto complicata. Quindi abbiamo deciso di inserire i ricordi nel carattere del personaggio attraverso situazioni più introspettive. Abbiamo sviluppato maggiormente il personaggio interpretato da Hippolyte Girardot, che era più in sordina nel testo originale. Mancavano anche alcuni elementi di rischio, così abbiamo sviluppato un doppio pericolo: da una parte i fratelli Cherkaoui e dall’altra la polizia durante uno scambio a Barbés. Anche dal punto di vista della credibilità è difficile vendere una tonnellata e mezza di hashish a Parigi senza che nessuno chieda da dove venga. Ma il copione è stato comunque abbastanza fedele. Tutto quello che c’era in più è stata talvolta Hannelore a toglierlo dalla storia.

Hannelore Cayre ti ha confessato da dove nasce questa storia?
Senza svelare il suo segreto, credo di poter dire che la storia personale dei genitori di Patience sia una romanzata visione dei suoi genitori. Hannelore ha inoltre messo un po’ di sé stessa nella tendenza “anarchica” del personaggio. Ha inventato invece il lato “criminale” della storia sulla base di quello che ha osservato nella sua attività di avvocato penalista, avendo difeso alcuni spacciatori. Conosceva quindi le procedure, i dialoghi e quanto altro. Un’altra cosa che ho apprezzato del libro è l’accuratezza delle osservazioni riguardo il mondo dei trafficanti e dei commercianti, alcuni di loro immigrati cinesi che sono vittime del traffico o che sono stati talvolta malmenati dai teppisti. Mi è piaciuto il modo in cui Hannelore ha fatto parlare ognuno di loro, preciso ed ingegnoso. Durante le udienze, lei notava come la comunità nordafricana era spesso tradotta da due o tre interpreti. Non c’era un double check su quello che veniva tradotto: se qualcuno malintenzionato avesse tradotto incorrettamente, nessuno se ne sarebbe accorto. Certo, non è esattamente il caso di Patience, che principalmente voleva aiutare l’infermiera ad avere una vita felice, per esserle riconoscente dell’affetto dato a sua madre. Ma una volta che la droga è libera da controlli, perché non andare a prenderla?

Hai conosciuto qualche interprete giudiziario?
Sì, due. Uno ci ha aiutato a tradurre il copione in arabo – conosceva i termini usati dai trafficanti. Poi c’è stata una donna che ha tradotto dal portoghese, essendo specializzata in casi riguardanti il Brasile circa finte documentazioni, smerci di cocaina ecc. Lei ci ha mostrato come lavora, alcune volte traducendo il materiale anche da casa sua. Alcune volte stira i panni ed ascolta le registrazioni! Entrambi sono stati in forze nella Polizia per concludere arresti, come all’inizio del film. È un lavoro spesso trascurato: gli interpreti giudiziari sono stati per molto tempo pagati attraverso fondi del Ministero della Giustizia destinati a timbri e materiale da cancelleria. Non avevano nemmeno diritto ad un contributo pensionistico. Tutto ciò è cambiato solo recentemente e questo spiega perché Patience è preoccupata sul suo futuro. Ho inoltre incontrato alcuni poliziotti dell’antidroga, per vedere come lavorano coi traduttori, come funzionano gli interrogatori, le attese, le notti di ascolti delle intercettazioni. Ho dato loro i copioni da leggere ed ho ricevuto interessanti feedback. La realtà del film è inoltre strettamente inerente ad un ritratto della Parigi odierna. Mi sono trasferito a Ménilmontant nell’aprile 2017. Tre mesi dopo, leggendo il libro mi sono accorto che era ambientato interamente dove vivo. È stato inoltre un modo inusuale di scoprire il mio quartiere. Qualche volta ho camminato sul set. Il piccolo hotel dove vengono arrestati i trafficanti è a due isolati da me, a Couronnes. Ho fatto la ricerca di alcune location da solo, facendo foto col telefono e dicendo alla produzione di dare uno sguardo a quei luoghi. Ho anche cercato alcuni scorci per vedere Parigi dall’alto, come la Torre Eiffel vista da Rue de Ménilmontant, per mostrare la città prima di immergercisi. Quando non abbiamo potuto girare all’interno di palazzi perché non abbiamo ottenuto l’autorizzazione, ne ho mostrato l’esterno. Ho creduto che così facendo sarei riuscito a dare credibilità alla sequenza. Ho pensato che fosse importante filmare le periferie di Parigi come Belleville e Ménilmontant che non si vedono molto nel cinema francese. Diverse comunità vivono in questa zona, come quella di Whenzhou che ha aperto diversi negozi, ma ci sono anche nordafricati, Ebrei chassidici ecc. Ho voluto questa mescolanza di comunità, che è all’ordine del giorno nei film americani, per donare veridicità al film. Madame Fo, che è arrivata in Francia 20 anni fa, ha mantenuto il suo accento ma suo figlio parla perfettamente francese.

Come si è preparata Isabelle Huppert per il film?
Lei non parla arabo, l’ha dovuto imparare foneticamente. Avere grandi lavoratrici come lei diventa importantissimo. Abbiamo iniziato a girare a Novembre 2018. In estate lei aveva già tutte le sue battute registrate in diversi modi. Imparò tutto sillaba per sillaba. Io ovviamente ero ansioso, lei mi disse che era difficile. Il suo coach, che ha lavorato al nostro fianco direttamente nel girato, mi rassicurava costantemente. Nel frattempo Isabelle andò in Portogallo per girare Frenkie e nei +periodi di riposo studiava il suo copione. Quando tornò sapeva tutto alla perfezione. È stata incredibile. Avevamo marocchini che ascoltavano i suoi dialoghi e dicevano che lei parlava benissimo, con un leggerissimo accento francese. Marité Coutard si occupava del suo guardaroba, rendendola una ricca matriarca che spadroneggia coi piccoli spacciatori quando organizzava meeting in hotel lussuriosi, per poi diventare una modesta madre quando passa la merce in un supermercato di periferia.

Isabelle Huppert è un’attrice che guarda molto alla performance, senza perdersi in giri di parole…
All’inizio della giornata, dovevi rassicurarla circa le motivazioni che stavano alla base delle sue azioni e dei suoi dialoghi. La mattina, durante il trucco, parlavamo liberamente delle scene del giorno e dei dialoghi. Voleva essere sicura di averne captato a pieno le intenzioni, capendone i significati. Per esempio, per la scena in cui Madame Fo e Patience parlano su come pulire i soldi, lei voleva essere sicura di aver compreso il meccanismo. Una volta che hai sistemato la forma delle cose è tutto nell’implementazione di esse. Devi trovare il giusto ritmo, il giusto tempo per lei e per i suoi compagni. Lei ha l’istinto che le consente di dire: “Ok, ce l’ho”, oppure “rifacciamola, posso fare meglio”. È sempre sull’attenti. Credo che lei abbia molto apprezzato questo personaggio. Diceva che persino nel più piccolo dialogo c’era molto da fare. Patience mente molto, a tutti, per preservare la sua doppia vita e Isabelle qualche volta ha dovuto inventare reazioni, fingendosi sorpresa.

Liliane Rovère è uno dei personaggi secondari. Come avete fatto a trovarli?
Volevo il lato fantasioso di Liliane ed i sottotesti provenienti dal suo saper parlare Yiddish. È stato difficile anche trovare Madame Fo. Jade è vietnamita ma si è arrangiata a recitare la parte della donna cinese, optando subito per un approccio comico, in piena sintonia col film.

Cosa ci dici riguardo il personaggio di Hippolyte Girardot?
All’inizio cercavamo un profilo stravagante ma alla fine abbiamo realizzato che il personaggio era più radicato e che lui ci ha aiutato ad ancorare questa storia piuttosto folle ad una certa normalità. Hippolyte ha recitato nel ruolo con grande sincerità. Ha l’autorità di un capo dell’antidroga ma sa anche essere galante fuori dal posto di lavoro. Il suo essere una persona buona potrebbe essere fraintesa come una possibilità di essere manipolato da Patience per via della loro love story, ma questo fino ad un certo punto, dato che non sono sulla stessa lunghezza d’onda: lui vuole chiaramente ricominciare una nuova vita.

Il film parte come un thriller per poi versare nella commedia, poi gradualmente diventa il ritratto emozionante di una donna.  Queste tre parti facevano parte anche del processo di scrittura?
Questa struttura è emersa durante l’editing. Insieme a Valérie Deseine, l’editor, abbiamo visto che il film si prestava a questo tipo di filone. Quando Hannelore ha visto il film ha detto: “è come il libro ma con più emozioni”. Proprio perché il personaggio principale riusciva a sganciarsi dal passato, buttando via ciò che si portava dietro per anni.

Ha riportato indietro la barca del padre o ne hanno comprata un’altra con lo stesso nome?
No, lei ha ricomprato la barca del padre, poteva permetterselo. Questa è la storia di una donna che decide di non piangersi addosso ma di cercare parte del suo paradiso perduto. “Potresti ricominciare da capo” le dice una delle figlie. “E se invece decidessi di deprimermi?” Risponde Patience. La barca non era nel libro. Nell’ultima fase di scrittura chiesi a mio figlio Antoine di darmi una mano. A lui parve da subito che mancasse un elemento di forza, qualcosa di folle: Patience non sarebbe diventata così solo per pagare i propri debiti. Così una notte mi venne l’idea della barca e la condivisi con Hannelore ma non ricevetti risposta. Dopo qualche giorno mi mandò una sua foto da bambina su una barca!

INTERVISTA CON ISABELLE HUPPERT

Cosa ti ha attirato del progetto?
Mi sono imbattuta nel libro per caso quando ho ascoltato l’autrice Hannelore Cayre alla radio. Parlava del suo libro, appena prima di ricevere il Premio per la letteratura crime del 2017 credo. Rimasi colpita da ciò che disse, così comprai il libro, immaginando fosse fantastico. Conteneva il ritratto di una donna e la promessa del suo destino. Io non sempre cerco dei ruoli nei libri, qualche volta leggo per gusto, ma con “La Daronne” ho percepito cosa l’autrice voleva dire in radio, cioè che c’era un personaggio principale assai interessante. Jean Paul Salomé, con il quale ho viaggiato molto per gli eventi Unifrance, mi disse che era rimasto colpito dal libro e che ne avrebbe acquisito i diritti, così questa è stata l’opportunità per tornare a lavorare fianco a fianco con lui.

Volevi fare una commedia?
Non funziona proprio così. Puoi sempre riscrivere la storia e dire che le idee vengono prima degli eventi. Ho sempre pensato che c’è un elemento tragico nella commedia e viceversa. La Daronne è un soggetto che Claude Chabrol avrebbe apprezzato: contiene tutti gli ingredienti della satira ma, così come nel libro, non viene mai persa di vista l’umanità. Mi è piaciuto il bisogno che ha il personaggio principale di tuffarsi in un’avventura che la faccia diventare complice e nemica. Complice perché tutto inizia grazie all’amicizia con l’infermiera che si prende cura della madre, nemica perché frega più soldi possibili dalla donna che truffa. C’è il lato senza morale ed anarchico che amo. Mi piace anche il modo in cui finisce: leggerezza e malinconia combinate, con un pizzico di solitudine. Per questo personaggio il romanticismo non ammazza la solitudine e nemmeno il coraggio: non è spaventata dall’avventura.

Come riassumeresti la vita del tuo personaggio Patience?
È una donna che ha subito un terribile lutto, che racconta in una scena con Hippolyte Girardot, un fantastico collega. Si ritrova da sola a dover badare a tutto, le figlie e sua madre. Nemmeno si fa troppe domande quando questa inaspettata manna dal cielo arriva: si getta nell’avventura, talmente tanto immorale che nemmeno sapeva di essere così. Il peso del passato influenza in modo subdolo la narrativa e le dona un qualcosa di poetico.

Hai dovuto imparare l’arabo…
Sì, comprendere e parlare arabo è parte del personaggio ed è quasi ciò che “attiva” la narrazione. È stata una bella sfida, quanto difficile. Nello stesso anno ho dovuto parlare un po’ di cinese in LUZ di Flora Lau, e molto arabo in questo film, ma entrambe le lingue hanno una fonetica molto difficile per noi. È comunque parte del lavoro, ho cercato di esercitarmi qualche mese prima e spero di aver raggiunto un buon livello. All’inizio comprendevo soltanto il significato generale della frase, poi gradualmente ho iniziato a capire quale parola corrispondesse al suo significato. Ma la cosa importante è la musicalità della lingua, non comprendere necessariamente tutto. Mi sono quindi concentrata sul riprodurre al meglio quei suoni, cercando di adattarli al personaggio: talvolta parlavo arabo come una donna araba ricca, altre volte come la più povera delle donne. Adoro il costume che ho indossato nel supermercato, lo trovo davvero autentico. Quando i suoi abiti diventavano più scintillanti era più per travestimento. Insomma, ho cercato di adattare lo stile del parlato agli abiti che indossavo.

Sei un’attrice che lavora sull’improvvisazione, hai mai fatto tutta questa preparazione in altri lavori? 
Studiare pianoforte per THE PIANIST è stato più o meno la stessa cosa. Ci sono cose che uno non può anticipare, come la pura recitazione. Ma imparare a suonare il pianoforte o studiare una lingua richiede tempo e non ci sono scorciatoie. Persino abituarmi ai cani è stato un lavoro per me, non avendone. Ma è stato anche molto interessante vedere come gli animali recitano, sotto la supervisione del loro addestratore. È stato bello girare questo film, in primis perché lavorare con Jean-Paul Salomé è veramente piacevole. L’approccio proposto da lui prevedeva che i personaggi esprimessero tutti i sentimenti possibili, il che mi ha consentito di non nascondermi. È ovviamente un lusso per un’attrice. Inoltre era un film molto ben preparato, la sceneggiatura si è evoluta dalla prima lettura, l’abbiamo modificata cercando di centrarla maggiormente sui sentimenti di Patience, senza ignorare ciò che le accadeva intorno. Quando abbiamo iniziato a girare, eravamo pronti: non c’era altro da fare se non recitare.

Quindi, niente psicologia, niente costruzioni per il personaggio?
No, non credo a queste cose. Deve esserci sostanza, profondità, devi dare qualche spiegazione e qualche input allo spettatore in modo velato. Adoro la relazione tra me e Madame Fo, il personaggio mi fa divertire ed è lo stesso per l’attrice, Jade Nguyen. Mi piace la sorellanza tra Patience, Madame Fo e Khadija, tre donne di differenti origini, unite da una tenera solidarietà. Ciò che funziona nel film è che andiamo contro gli archetipi, mostrando forza da una posizione di fragilità, mostrano furbizia dall’innocenza candida.

Patience spesso mente. Le bugie cambiano il modo in cui tu reciti?
È certamente un modo di fare commedia. In un certo senso domini il mondo attraverso le menzogne, è un potere che Patience ha sulle altre persone. Lo percepisco quando recito? Io recito utilizzando strategie che mascherano il personaggio, è molto divertente: le scene con Hippolyte Girardot, quando lei prova ad ottenere informazioni senza rivelarsi, oppure quando lei traduce sé stessa.

Foto: © Guy Ferrandis

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